Chronica parva Ferrariensis: il tempo del Marchese Azzo

tempo-di-azzo-VII-novello-ducato-di-ferrara-chronica-parva-ferrariensisIn questa parte della Chronica Riccobaldo Gervasio affrontò l’argomento del “dopo Salinguerra” e dei “Patti vecchi“, col passaggio del governo della città, sotto forma di reggenza biennale, all’odiata Venezia, quindi al non del tutto amato Marchese Azzo VII d’Este, a noi più noto però come Azzo Novello. Stefano Badoer, nobile veneziano, politico, giurista e reggitore, divenne podestà del Comune di Ferrara per ben due anni, in nome e per conto di Venezia, in virtù del fatto che la città lagunare era entrata nella coalizione voluta dal legato pontificio Gregorio di Montelongo, a cui avevano aderito anche gli Estensi, i Lombardi ed i Bolognesi, e che si era schierata contro Salinguerra e tutti i sostenitori dell’Imperatore. E Venezia aveva affidato il comando generale delle sue truppe proprio al Badoer, che assediò Ferrara dai primi di gennaio ai primi di giugno del 1240, allorquando sconfisse il Salinguerra, costringendolo alla resa onorevole attraverso un trattato di pace. In seguito a questa vittoria, disonorevolissima per i Ferraresi tutti, Venezia riuscì ad avere la reggenza di Ferrara per ben due anni, ottenendone smisurati vantaggi politici ed economici, come quello di potersi rifornire, in modo illimitato, del frumento prodotto nelle nostre zone. Alla fine di tale reggenza, Ferrara cadde dalla padella direttamente sulla brace poiché al Badoer succedette il Marchese Azzo VII d’Este, notoriamente avverso al commercio ed ai commercianti tutti.

LA REGGENZA BIENNALE DI VENEZIA

Chronica, colonne 485, righe 550-561

Rebus compositis, veneti regimen ejus Urbis biennio tenuerunt, & impetraverunt in longum tempus conditiones, & pacta, quæ nunc Pacta vetera nominantur, fœda, dura, & superba, liberorum Civium animos prementia diro jugo. Nam qui voctores redierant, cùm Reipublicæ commodis, & civium exulum possessionibus fruerentur, plus carnem defectura, quam animam inordinatè amantes, omnia libidini, & superbia Venetorum permiserunt injustè. Fortunæ exulum, utique agri diffusissimi in cives victores divisæ.

Traduzione Chronica, colonne 485, righe 550-561

Una volta riappacificate le cose, i Veneti governarono la città per un biennio, ottenendo per lungo tempo condizioni e patti, oggi ricordati come “Patti vecchi“, che furono vili, duri e superbi, opprimenti l’animo dei cittadini col loro terribile giogo. Infatti, coloro che tornarono come vincitori, potendo godere della nuova legislazione ed anche dei beni degli esuli, ed amando più le cose mortali di quelle dello spirito, lasciarono campo libero alla superbia veneta. Le proprietà degli esuli, come quelle consistenti negli amplissimi territori, furono suddivise tra i vincitori.

INIZIO DELLA REGGENZA DEL MARCHESE AZZO VII D’ESTE

Chronica, colonne 485-486, righe 561-584

Exacto biennio regimen Potestariæ est Azzoni Marchioni permissum, cum salario trium millium librarum Bononiensium. Quod annis tenuit pluribus. Verùm Primates Urbis consultò flatuerunt id regimen aliquibus Nobilibus potentibus in eorum patriis, qui opem tulerant, & laturi videbantur in posterum suis rebus, deferre. Hoc Azzoni denunciato, orant, ut regimini Civitatis cedat, quatenus per id regimen alii amici potentes valeant permulceri. Tum Azzo inquit: “Si regiminis hujius utilitate privabor, cùm proventuum summa non respondeat oneri impensarum, quas declinare non possum, manendo Ferrariæ, hinc demigrabo Rodigium, ubi agam vitam quietam his flagitiorum curis depositis”. Tum illi inquit: “cedatis regimini, merces autem nihilhominus vobis obveniat”. “Assentior”, inquit Azo. Tum data est opera, ut decreto eorum, qui Rempublicam administrabant de Fisco Ferrariæ quotannis exhiberentur eidem Azoni tria milia librarum Ferrarinorum, quæ moneta tunc nummo Bononino par erat.

Traduzione Chronica, colonne 485-486, righe 561-584

Concluso quel biennio, l’ufficio di podestà venne affidato al Marchese Azzo VII d’Este, e gli fu assegnato un salario di tremila libre bolognesi. Egli tenne per più anni tale incarico. Poi, dopo essersi consultati, i primi cittadini decisero di affidare quella carica a qualche nobile potente di Ferrara, che aveva offerto aiuto e ora voleva mettersi a disposizione della propria comunità. Riferita la cosa ad Azzo, venne pregato di rinunciare all’incarico, affinché qualche potente locale potesse subentrare. E Azzo ebbe a dichiarare: “Qualora venga privato di questa carica, con tutti i suoi vantaggi, poiché le entrate che essa offre sono inferiori alle spese richieste, di cui non posso fare a meno abitando a Ferrara, mi trasferirò a Rovigo, dove vivrò senza preoccupazioni“. Ed essi gli risposero: ” Rinunciate alla carica ed il salario vi verrà corrisposto ugualmente“. “D’accordo“, rispose Azzo. Allora ci si organizzò affinché i governanti trovassero il salario da dare annualmente ad Azzo, traendolo dall’Erario di Ferrara e consistente in tremila libbre di Ferrarini, moneta che a quel tempo equivaleva al Bolognino.

GLI EMOLUMENTI DEL MARCHESE AZZO VII D’ESTE

Chronica, colonna 486, righe 585-629

Proinde cùm ejus viri in omnes liberalissimi, & profusi non sufficerent proprii reditus, fiebant pro eo quæstus informes; nam pro impensis fiendis festis Natalis Domini, & Resurrectionis requirebantur Abbates, Priores, Archipresbyteri, & Villarum Consules districtus Ferrariæ, ut summam pecuniæ, boves, aut porcos majales Marchioni donarent. Obtemperabatur, licèt invitè. Ex his horta est infamia a populo vulgata, non tales exationes facta esse temporibus Salinguerræ. Tum ad abolendam eam infamiam decretum est in republica, ut singulis Festivitatibus Natalis Domini pro impensis exhiberentur de Fisco libræ Ferrarienses sexcentæ; Resurrectionis autem Festo libræ Ferrarienses quinquegentæ. Data est opera per potentes in parte Marchionis, utilitatem publicam lacerantes pro sua propria, ut sibi quisque ab ipso Azone per Feudum acquireret quæcumquæ prædia possidebat Azo de patrimonio Guilielmi Marchesellæ. In quorum præmium dederunt operam ipsi Nobiles, ut possessiones publicæ Villæ, quæ dicitur Milliarium, site in Diocesi Ceviensi, ipsi concederentur Azoni. In hujus rei rogatione ad Populum nullus est refragari ausus. Quibus ea res displicuit, gemmentes mussitaverunt. Vocatus est autem per eos, qui Rempublicam malé administrarunt, homo plabejus ex fautoribus Salinguerræ, cui datum est mandatum ut Ravennam pergeret, ubi exules ferè habitando agrum Ferrariæ bello jugiter infestabant. Et Rambertus excitus, ut exulibus dicerer, ut adsentirent concessioni factæ Azoni per Commune Ferrariæ ita providetur exulum utilitari. Exules ipsi id agere abnuerunt. Factum est decretum, ut idem Azo de Fisco haberet libras sexcentas singulis annis proinstaurazione munitionis Castelli. Hec exationes deinde mansuerunt usoque in tempus, quo Populus Ferrariensis, Dei & Ecclesiæ Romanæ auxilio Jugum Estensium à cervicibus suis excussit. Sed ad superiora redeatur.

Traduzione Chronica, colonna 486, righe 585-629

Non bastando le proprie entrate a quell’uomo gentile e generoso verso tutti, si facevano per lui questue informali: ad esempio, per le spese da sostenere nel periodo natalizio e nel periodo della Resurrezione venivano richiesto agli abati, ai priori, agli arcipreti e ai consoli del distretto di Ferrara di corrispondere al Marchese Azzo VII una somma di denaro nonché buoi o suini. Tutti obbedivano, ma non proprio volentieri. Per tale motivo egli assurse a triste fama in quanto il popolo si lamentava del fatto che al tempo di Salinguerra non venivano fatte tali riscossioni di denaro. Ma i deputati al governo della città stabilirono che, tacitando così ogni lamentela, si corrispondesse ad Azzo la cifra di seicento Libbre di Ferrarini ad ogni Natale e cinquecento Libbre per la ricorrenza della Resurrezione. Gli amministratori che stavano dalla parte del Marchese, di fatto pessimi amministratori del bene pubblico a tutto vantaggio del proprio interesse particolare, fecero in modo che ciascuno acquistasse in Feudo dal Marchese Azzo ogni bene da lui posseduto, afferente al patrimonio di Guglielmo di Marchesella. Per ricambiare ciò, fecere in modo tale che i possedimenti pubblici di Migliaro, collocati nella Diocesi di Cervia, fossero concessi al marchese Azzo. Nella richieste che venne fatta al popolo, nessuno si mostrò contrario. Coloro ai quali la cosa non piacque dovettero limitarsi a mugugnare. Quindi, coloro che amministravano malamente la cosa pubblica fecero chiamare un plebeo, sostenitore di Salinguerra, con l’ìncarico di raggiungere Ravenna, dove gli esuli avevano riparato durante la guerra. Il suddetto plebeo avrebbe dovuto riferire ai Ramberti ed agli altri esuli della concessione fatta ad Azzo VII dal Comune di Ferrara, del territorio di Migliaro, affinché i cittadini di Ferrara potessero a loro provvedere. Alcuni esuli però si rifiutarono. Si fece un decreto per far avere ad Azzo seicento Libbre di Ferrarini ogni anno, in modo tale che egli potesse far eseguire opere di rafforzamento al Castello (NdR – Si tratta con ogni probabilià del castello di Ariano Polesine, di cui abbiamo notizie certe riferite proprio a quei tempi ed anche anteriori. Infatti, nel 1163 Obizzo d’Este aiutò l’imperatore durante la sua terza discesa in Italia ed il guadagno che ne ottenne furono alcuni possedimenti pontifici. Ariano fu consegnato agli Estensi da Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa, nel 1195, grazie al fatto che egli seppe furbescamente garantirgli la propria neutralità durante la sua discesa verso il meridione d’Italia. E proprio Azzo VI andò a ossequiare l’imperatore Enrico VI mentre si trovava a Piacenza. A quei tempi ad Ariano si ergeva un castello, situato nei pressi di San Basilio, ovviamente lungo un canale navigabile, così da controllare facilmente i traffici e tassare la movimentazione delle merci via acqua. Purtoppo, gli anni han cancellato tutto e già all’inizio del 1600 non ne rimanevano che poche rovine). Quelle esazioni continuarono fino al momento i cui il popolo, Dio e la Chiesa scossero il giogo d’este dai loro colli.

DRAMMA DEI PROFUGHI FERRARESI

Chronica, colonna 486, righe 630-648

Capto Salinguerra per Venetos, & incluso, ferè mille quingenti viri partis illius in exilium diffugerunt, qui mox habitantes in burgo Ravennæ infestissimi fuerunt Civitati Ferrariæ, omnes partes Padi, paludes, ac pelagus navigantes; itaque commeatus aut clauserunt, aut formidolosus fecerunt. Iterum Ferrariæ odiis exortis inter potentes, Marchesinus Pizolus de Maynardis, Parthenopæus jam dicti Civitate pulsi Ravennam se conferunt, & cum exulibus belli societate junguntur. Diu civili bello ducto, tandem exules à Civibus atteruntur, & Ravenna discedunt. Data post Bellum civile quiete Civibus, Civitas ipsa floruit in tantum, ut septigentos equites mitteret ex suis Civibus contra Ezelinum de Romano Tyrannum in Marchia trivi siana, quando vênit cum exercitu Paduam perditam vendicatûm.

Traduzione Chronica, colonna 486, righe 630-648

Dopo che Salinguerra venne catturato e fatto prigioniero dai Veneti, quasi millecinquecento persone del suo schieramento fuggirono in esilio e, abitando nel borgo di Ravenna, arrecarono parecchie molestie alla città e al contado di Ferrara, poiché con le loro navi facevano scorrerie in ogni ramo del Po, nelle paludi ed anche in mare tanto che, da quelle parti, era pericoloso ogni spostamento. Nel frattempo, essendo insorte delle discordie tra i potenti di Ferrara, furono espulsi Marchesino Pizolo Mainardi ed il già detto Partenopeo, i quali trovarono rifugio a Ravenna, dove strinsero subito accordi con gli esuli al fine di combattere contro Azzo VII. E dopo tanta guerra civile, finalmente gli esuli furono fatti rimpatriare e la città rifiorì così tanto che fu in grado di inviare settecento suoi cavalieri ferraresi contro Ezzelino da Romano, tiranno della Marca Trevigiana, quando avanzò minaccioso, pronto a vendicare la perdita di Padova. (NdR – Mentre Ezzelino era occupato nella conquista di Brescia, Azzo VII si impadronì il 20 giugno del 1256 di Padova, grazie anche al fatto che Ezzelino diffidava dei circa diecimila padovani coscritti nella sua milizia e così li aveva dapprima rinchiusi nell’anfiteatro veronese, poi nelle le sue prigioni, suddividendoli quindi a piccoli gruppi e facendoli uccidere tutti, tranne uno. Azzo non seppe però approfittare di tale vantaggio, anche perché la sua coalizione aveva obiettivi diversi e quindi la guerra svivacchiò per circa due anni, fino al momento della caduta di Brescia, nel 1258, nelle mani di Ezzelino. L’odio contro il tiranno crebbe a tal punto da indurre i Guelfi ad allearsi con i Ghibellini, con tanto di accordo firmato l’11 giugno 1259. Nel frattempo, Azzo VII riuscì a conquistare Cassano d’Adda, aiutato dai Cremonesi di Alberto II Pallavicino e dai Mantovani. In tal modo, la coalizione fu in grado di schierare le proprie truppe contro il fortissimo esercito di Ezzelino, momentaneamente in ritirata dal fallito assalto a Milano. La storica battaglia avvenne il 16 settembre 1259 proprio a Cassano d’Adda ed Azzo VII d’Este, meglio ricordato dai ferraresi come Azzo Novello, riportò la completa vittoria sul tiranno, ancor oggi ricordata in tutti i libri di storia. Il terribile Ezzelino, dopo essere stato catturato, fu portato a Soncino, in provincia di Cremona, dove fece ritorno alla casa del Padre a 65 anni d’età, esattamente come era vissuto: lontano dalla religione e lontano da ogni medicina, gli ultimi giorni del suo tempo terreno si strappò le bende ed ogni altra fasciatura e si lasciò morire dissanguato. Ancor oggi, a Soncino, ricordano ogni settimana l’avvenimento con un rintocco di campana).

NOTA PER I LETTORI

Poiché non sono mai stato in possesso delle colonne originali 487 e 488, anche se esse sono facilmente rintracciabili su Internet, la mia traduzione della “Chronica” si conclude formalmente qui, con il paragrafetto seguente: colonna 486, righe 648-655. Ciò è dovuto al fatto che il testo fino ad ora offerto a voi lettori è quello afferente la primissima edizione muratoriana, di cui entrai in possesso nel 1983 e che risultava già a quel tempo orfana delle suddette due colonne. Così, ritenendo importante offrire la versione integrale, alla latina per intenderci, e non una semplice riscrittura italianizzata, rivista, ampliata e corretta dallo studioso di turno, dopo la traduzione del suddetto paragrafo, offrirò solo il restante contenuto della Chronica, ovviamente in forma sintetica, cosicché ciascuno potrà sempre dire a chiunque di “conoscerne il contenuto“.

Chronica, colonna 486, righe 648-653

Dein Azo Marchio excesserat tempus juventæ in annis, quibus terminum vitæ dedit. Ei tunc Uxor sterilis erat; verùm ex primis conjugiis liberos habuit tres fœminini sexus, quarum major natu Monasterio se dicavit, aliæ nuptis addicatæ.

Traduzione Chronica, colonna 486, righe 648-653

Il Marchese Azzo VII aveva già superato il tempo della giovinezza e gli ultimi anni della sua vita volgevano al termine. A quel tempo egli aveva una moglie sterile, ma da un precedente matrimonio aveva avuto tre figlie, la maggiore delle quali fu avviata alla vita monastica, mentre le altre si erano sposate (NdR – Aveva sposato Giovanna, di cui ignoro il casato, che gli diede quattro figli: Beatrice (monaca e beata), Costanza, Cubitosa e Rinaldo. Quest’ultimo venne preso in ostaggio dall’imperatore Federico II, quando aveva solo nove anni (1239), e fu imprigionato prima a Cremona e poi in Puglia, dove morì nel 1251, fatto uccidere probabilmente col veleno, su incarico dell’Imperatore Corrado e, forse, su consiglio diretto di Ezzelino III da Romano. In seguito ad una relazione con una lavandaia napoletana, Rinaldo ebbe un figlio, Obizzo II d’Este. In seconde nozze, il giorno 11 giugno 1259, Azzo VII sposò, appunto, Mabilia Palavicini, figlia del Marchese Uberto Palavicini, signore e podestà di Cremona. Ebbe anche due figli naturali: Contardo e Alisia).

CONTENUTI DEL RESTO DELLA CHRONICA

Fra le famiglie più potenti di Ferrara, a quel tempo vi era certamente quella di Aldighero Fontana, il quale presiedeva il gruppo di consiglieri più ristretti di Azzo VII e gli suggerì di indirizzare il governo di Ferrara sulla figura di suo nipote Obizzo, figlio naturale di suo figlio Rinaldo I d’Este.

E Azzo ormai morente, il Fontana fece giungere a Ferrara le famiglie più potenti delle città limitrofe, allontanando nel contempo alcuni sospetti e facendo presidiare il territorio da diversi contingenti armati.

Nella riunione che ne seguì illustrò ai presenti la sua idea su Obizzo, già diciassettenne, trovando però la contrarietà dell’arcivescovo di Ravenna e dei maggiorenti di quella città. Tutti gli altri furono però d’accordo col Fontana e dopo il funerale di Azzo, avvenuto il 17 febbraio 1264, tutte le carte furono pronte e la macchina organizzativa risultò oliata alla perfezione. Tutti i cittadini furono chiamati in assemblea pubblica, alla quale, da adolescente, risultò pure presente l’estensore della Chronica. Il Fontana parlò, e poichè il popolo fu d’accordo, vennero nominati gli amministratori dei beni di Obizzo, in città, nel contado ed anche oltre, illuminando di nuova luce la saga estense sulla città di Ferrara.

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