La rotta del Po di fronte a Stellata

Roccapossente-Stellata-antica-Goltarasa-ducato-estenseL’episodio del franamento di un lungo tratto dell’argine sinistro che il nostro fiume Po subì proprio a Ficarolo, di fronte alla località un tempo denominata “Goltarasa“, corrispondente alla zona dove si trova l’attuale Roccapossente di Stellata, e che fu la causa determinante della più nota “Rotta di Ficarolo“, avvenne in un arco temporale molto lungo, probabilmente compreso fra l’anno 1150, secondo l’ipotesi citata nella “Cronicha parva Ferrariensis” e l’anno 1158, secondo l’ipotesi suggerita dal “Privilegio” o “Carta di protezione” che Amato, vescovo di Ferrara, concesse l’8 dicembre 1158 alla Chiesa di San Salvatore di Ficarolo ed al suo priore Ciriaco.

Una parte delle acque fuoriuscite, una volta che ebbero trovato l’alveo del fiume Tartaro, si rivolsero verso la sua foce naturale, ovvero in direzione di Lorèo, mentre la restante parte diede origine al nuovo corso del Po, che solo successivamente venne detto “Po di Venezia” o anche “Po di Maestra“, sfociante in Adriatico con tre rami: il Po di Pila, il Po di Tolle ed il Po della Gnocca.

Ovviamente, a posteriori e senza un documento preciso che ne attesti il momento esatto, nessuno è mai stato in grado di sostenere che la rotta di Ficarolo fosse avvenuta esattamente in un anno ed in un momento ben precisi. Per contro, è assai più probabile che essa non sia stata altro che una “sommatoria di eventi” spalmati su di un arco temporale indefinito, ma certamente di portata tale da provocare una lacerazione importante alle arginature del Po, tale non non consentire di essere riparata in maniera tempestiva, ovviamente rispetto alle tecniche usate in quei tempi e consistenti principalmente in tre tipi di azioni: scavi paralleli di deflusso per porre in sicurezza gli abitati più vicini alla rotta, innalzamento di coronelle di contenimento alle estreme periferie dell’allagamento e graduali opere di palificazione lungo il nuovo corso intrapreso dalle acque..

DESCRIZIONE DELLA ROTTA NELLA CHRONICA PARVA FERRARIENSIS

Ed ecco come la Chronica parva Ferrariensis inquadra la vicenda della rotta di Ficarolo: (Colonna 475 – Settore B – Riga 4) – “… Inde, Padus descendens dextrà tangit agrum Mantuanum usque ad locum oppositum Vico Ficaroli, nuncupatum vulgo Goltarasam. A sinistra tangit Mellariam, Bragantinum Pollicinum, Massam, & Ficarolum ditionis Ferrariae. Hoc loco Padus integer cernitur. Modico inde inferiùs Padus scinditur sinistrorsum, & facies flumen, quod Rupta Ficaroli dicitur, opimus aquis non longè à mari Gauro jungitur, profluenti ex Pado antiquo in pelagus. Hec pars Padi, quae dicitur Rupta Ficaroli, hominum opus fuit; nam hominem ejus loci odio hominum colentium agros Vici, qui dicitur Ruina, aggerem Padi sciderunt, ut aquarum exundatium mole fuis æmulis damna agrorum inferrent. Padus antiquus infra Ficarolum descendit usque ad Civitatem Ferrariæ sinistrà ripam posideram per millia passum XV. Cùm ad mediam Urbi partem pervenit Padus, dexterà scinditur, & faciens flumen nominatum Fossam non minoribus aquis Rupta Ficaroli, versùs Orientem tenuit per agrum & districtum Ferrariæ usque ad Villam Bocaleonum per millia passuum XX …”.

(Colonna 475 – Settore E – Riga 8) – “… Cùm Ficarolum pervenerit, Padus tendes per Ruptam partem Padi facit alios fluvios ex se, scilicet Bonellum,Tassarolum, Barzagam, & alia fluenta, quae mox in Ruptam Ficaroli redeunt juxta Villam, quae digitur Litiga …”.

LA ROTTA A FICAROLO

Come abbiamo visto nel precedente articolo, sappiamo con certezza che questa rotta dell’argine del Po avvenne a Ficarolo, dalla parte di fronte a Stellata, località un tempo nota col nome di “Goltarasa” o anche “Golta Rasa” e sulla quale, alcuni secoli dopo, gli Estensi fecero costruire l’importantissimo e assai temuto fortilizio difensivo conosciuto come “Roccapossente“, quindi espansero l’autoctono insediamento umano, poi chiamata Stellata, probabilmente in virtù del fatto che il basamento della suddetta rocca aveva la pianta a quattro punte.

Il Frizzi, narrando di questa rotta, non poté far a meno di non partire dal “De edificatione urbis Ferrarie” che, come abbiamo visto, altro non è che la famosa “Chronica parva Ferrariensis“, scritta da Riccobaldo Gervasio da Ferrara, forse tra il 1309 ed il 1317, successivamente pubblica da Ludovico Antonio Muratori, ma sotto forma anonima, in “Rerum Italicarum Scriptores” (I edizione, Volume VIII – 25 tomi – Milano, 1723-1751).

Egli ribadì che “… di questa rotta erano rami il Bonello, che vale anche come limite o confine, il Tassarolo, il Barzaga ed altri piccoli canali …”. Il Bonello formava un’isola dello stesso nome nei pressi di Gaiba, mentre il Tassarolo era quasi certamente lo stesso “Vassarolo” di cui si parlava nei privilegi del 1158 e del 1175 che, tra l’altro, prestava il suo nome ad un Polesine, che descrisse nel modo seguente: “uno spazio di paese cinto dalle acque in foggia di un’isola“.

IL POLESINE

Sostenendo che il termine “Polesine” potesse derivare dal latino medievale “pollicinum” o “policinum“, diversi autori del passato spiegarono il termine in questo modo: “Il Polesine è costituito da un cumulo di terra, a guisa di terra sabbiosa emersa fra le acque o addensatasi al di sopra di esse. Si può trovare all’interno di un fiume, di una valle e di un terreno paludoso. Tale cumulo è spesso paludoso e presenta vegetazione del tutto spontanea“.

Ma se questa è stata fino ad ora l’interpretazione della stragrande maggioranza degli autori che hanno trattato il tema, devo osservare che il Frizzi ebbe a compiere un autentico miracolo, in quanto diede una spiegazione del termine “Polesine” decisamente evoluta rispetto anche ad autori giunti ben dopo di lui, in quanto la sua riflessione presupponeva già, con le parole “spazio di paese”, un intervento umano sulla Natura.

La mia visione della parola “Polesine” va decisamente da un’altra parte rispetto alla nomenklatura della storicità patria locale, poiché sono assai più propenso a partire dal termine latino “pullus-pulla-pullum“, ovvero da un semplice aggettivo indicante una tonalità scura e nerastra di un terreno, in quanto questa è la caratteristica fisica principale di un addensamento sabbioso che venga a trovarsi al di sopra di acque stagnati o in movimento, di paludi o di valli, dove tutto appare un po’ più scuro, appunto.

Inoltre, non si può dimenticare il fatto che esiste anche un antico termine greco-bizantino utilizzato per indicare il “Polesine”: è il “polýkenos“, composto dai termini “polýs“, che significa “molto” e “kenós“, che significa “vuoto”, per cui se ne deduce che “il Polesine è un luogo leggermente più scuro del territorio circostante, ed è contraddistinto da molti vuoti”.

EVOLUZIONE DELLA PAROLA “POLESINE”

Al tempo degli Estensi, probabilmente il termine “Polesine” faceva riferimento ad entrambe le terminologie citate, ovvero: “pollicinum” e “pullus-pulla-pullum“. Poi, attraverso l’utilizzo popolare, e a secondo della zona geografica di utilizzo, vi fu una lenta trasformazione della parola che condusse dapprima al termine di “Policìno” con la “P” maiuscola, poi al termine di “Poléxino” dal quale, sempre assai gradualmente, si passò al “Polésino” prima e al “Polésine” che conosciamo ed utilizziamo ancora.

DI NUOVO ALLA ROTTA DI FICAROLO

Ritornando ora al nostro argomento principale sappiamo, grazie alla “Chronica parva Ferrariensis” di Riccobaldo Gervasio che: ” … Cùm Ficarolum pervenerit, Padus tendens per Ruptam partem Padi facit alios fluvios ex se, scilicet Bonellum, Tassarolum, Barzagam, & alia fluenta, quae mox in Ruptam Ficaroli redeunt juxta Villam, quae dicitur Litiga …”.

Ovvero, i nuovi corsi d’acqua che si vennero a formare, andarono a confluire in una località denominata “Litiga” e da qui rientrarono nuovamente nelle acque del Po. In tempi antichi, il territorio posto alla destra della Fossa di Polesella veniva chiamato sia “Lavigia” che “Litigia“, mentre quello posto alla sinistra era detto “Policella” o “Pelosella”. A confermare poi la terminologia della Chronica, sappiamo dell’esistenza di una parrocchia detta di “Santa Maria di Litiga”.

Da tale località era possibile, procedendo con le imbarcazioni, entrare direttamente sia nelle paludi che nelle acque dell’Adige da cui, procedendo contro corrente, si poteva perfino raggiungere Lendinara mentre, discendendo con la corrente si arrivava a Rovigo: “… Hic exitur de Pado navibus, & per paludes & canale pervenitur ad fluvium Athicem. Ab loco si deorsum vanigaveris versùs Ortum, Rhodigium pervenies, inde in Mare Adriaticum, vel Venetias …”.

Le acque si spinsero fino all’Adigetto che, probabilmente da allora, iniziò ad essere chiamato “Adige” anche perché, di fatto, divenne lo sbocco principale della rotta. Dalla parte di Badia, la prima terra ad essere inondata ebbe il nome di “Ramo del Po” e, in seguito, di “Ramo di Palo“.

Tutta la zona più a nord, conosciuta col termine di “Fiume vecchio“, a quel tempo era occupata da una selva ricordata nel 944 in una bolla del papa Marino II (128° papa) a Giovanni II, vescovo di Adria. Tale selva fu distrutta dai Benedettini della Vangadizza (Badia Polesine), i quali vi costruirono le prime abitazioni rurali fin dal XII secolo: ogni albero venne raso al suolo, per cui tutta la zona a sinistra dell’Adigetto prese il nome di “Rasa” mentre quella a destra si chiamò “Ramodipalo“.

NOTIZIE SU GOLTARASA

Riguardo l’etimologia del nome di “Goltarasa” potrebbe ritornarci utile una riflessione su quanto avvenne per la località denominata “Rasa“, alla sinistra dell’Adigetto: i monaci Benedettini erano soliti rendere produttivi quei terreni che prima erano occupati da folta vegetazione o, comunque, da ampie zone boschive. Ovvero, per sopravvivere, il loro modo di agire consisteva nel coltivare terreni sotratti alla Natura, attraverso l’abbattimento di ogni pianta, per cui la futura zona coltivabile doveva prima diventare letteralmente “rasa al suolo”, applicando così una tecnica assai nota, tipica degli Estruschi prima e dei Romani poi.

Ora, non saremmo lontani dal vero se supponessimo che questa zona di “Goltarasa” si presentasse tutta boschiva in quei lontani tempi. E si potrebbe addirittura pensare agli stessi Benedettini come a coloro che, con ogni probabilità, incisero profondamente su tutta l’area, in quanto essi si trovarono ad operare proprio da queste parti fino alla fine del XII secolo.

Sapendo poi che la parola “golta” deriva dal latino “gàbata” o “gàvata“, che era una sorta di scodella in legno, ma che in seguito venne identificata sia come la “guancia” vera e propria di una persona, che come un recipiente, ne potremmo dedurre che la zona identificata col termine di “Goltarasa” potrebbe essere stata, prima della rotta del Po, un’area golenale di espansione naturale delle acque del grande fiume, creatasi a causa della debolezza strutturale delle antiche arginature che, proprio in quel tratto, incontravano un restringimento naturale del Po e quindi, per deduzione, un aumento della pressione della corrente sugli argini.

Infine, sappiamo che nell’anno 1109, esattamente all’altezza di Goltarasa, scorreva ” … per boscos et per cannetum versus padum …” un importante corso d’acqua denominato “fossatum goltarase“. Tale notizia proviene da un atto notarile con cui la contessa Matilde di Canossa, deceduta nel 1115, cedette al vescovo di Mantova l’abitato di Sermide, con il relativo diritto alla pesca: ” … a porto usque ad fossaltulam et per fossaltulam usque in zusum per boscos et per cannetum versus padum usque ad fossatum goltarase quod est super Gambaronium (l’odierno Gambarone) … usque ad fossatum goltarase a fossato goltarase in buranam vivam et susum per buranam usque ad bondenum usque in fossaltam ad fossaltam in susum ad fossas balbi …”. Per tali ragioni, l’ipotesi finale è quella di un’area golenale di sfogo delle acque del Po che, proprio in quel punto, trovavano una strettoia naturale del fiume e, nel contempo, un argine troppo basso e debole per porre freno all’irruenza naturale tipica dei periodi di forte piovosità, per cui andavano continuamente a scaricarsi nella “Golta” suddetta, provocando così la crescita continua e spontanea di una foltissima vegetazione palustre e boschiva.

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