Origini di Ferrara: i falsi storici

i-falsi-storici-ducato-di-ferraraSulle origini e sulla fondazione della città di Ferrara si sono alternati studiosi da tutto il mondo, ma nessuno di loro è mai riuscito a far completa chiarezza sul nostro passato. Per citarne solo alcuni, la prima persona ad occuparsi in maniera ufficiale della nostra storia urbanistica fu certamente il notaio e cronista Riccobaldus Ferrariensis, meglio noto come “Riccobaldo” (1246-1318). E lo fece con il “De edificatione urbis Ferrarie“, meglio noto, però, col titolo di “Chronica parva Ferrariensis“, verso la seconda metà del ‘400. Della sua vita sappiamo che nel 1251, quando aveva circa cinque anni, assistette alla venuta a Ferrara di Innocenzo IV, a circa vent’anni (1264) assistette al funerale di Azzo VII d’Este mentre, nel 1290, quando aveva circa quarantaquattro anni, fu a Reggio Emilia come notaio del vicario del potestà Obizzo II d’Este, e sempre con la stessa funzione fu a Ferrara e a Padova, ormai sessantenne. Si sa anche che nel 1308 fu a Ferrara per giurare la sua fedeltà alla Chiesa Romana subito dopo la cacciata degli Estensi dal dominio della città.

PELLEGRINO PRISCIANO

Dopo Riccobaldo, fu la volta di Pellegrino Prisciano che, verso la fine del XV secolo iniziò ad occuparsi seriamente della storia della sua città. Egli, essendo archivista e bibliotecario presso la corte di Ercole I d’Este, nel 1488 lavorò direttamente sui testi e sui documenti che in quel tempo facevano parte della Biblioteca Estense e scrisse le famose “Historiae Ferrariae“, ma senza mai pubblicarle.

VINCENZO CORONELLI

Venne poi Vincenzo Coronelli (1650-1718), il quale affrontò il tema in oggetto dando alle stampe ben dieci tentativi di ricostruzione grafica della città di Ferrara, dal periodo romano di cui si parlava a quei tempi fino all’anno 1116.

ANTONIO FRIZZI

Cito, infine, tra gli studiosi del passato, Antonio Frizzi (Ferrara, 1736-1800), che è considerato una delle figure più illustri del settecento ferrarese. Laureatosi in giurisprudenza, svolse le funzioni di notaio, di segretario e di archivista del Comune di Ferrara. Le sue opere più importanti sono: “Storia di Ferrara“, in cinque volumi, e la “Guida del Forestiere per la città di Ferrara“.

isola-di-santantonio-ducato-di-ferraraSommando le notizie antiche alle nuove scoperte, ora sappiamo che con tutta probabilità Ferrara si sviluppò principalmente sulla sponda sinistra, ovvero al di là dell’isola fluviale di “Sant’Antonio” o “Polesine di Sant’Antonio“, situata sul Po di Ferrara, fra le diramazioni del Po di Primaro e di Volano. Era quella una zona “felice” rispetto al paesaggio tutto attorno, essendo assai più alta del normale piano di campagna. Purtroppo, gran parte dei suddetti cronisti, citando il cosiddetto “Falso Teodosiano“, presero lucciole per lanterne allorquando sostennero che i primi importanti insediamenti abitativi fossero stati solo al di qua del Po, nella attuale zona di San Giorgio.

IL FALSO TEODOSIANO

Teodosio-secondoIl “Falso Teodosiano” è un diploma che venne compilato fra il 1226 ed il 1234. In esso si attribuirono agli anni 423 d.C. gli avvenimenti citati e si confuse Flavio Teodosio, detto anche Teodosio I o Teodosio il Grande (347-295 d.C.), con Teodosio II, nato nel 401 e morto nel 450 d.C., imperatore romano d’Oriente, il quale avrebbe istituito l’Università di Bologna.

Fin qui nulla di strano, ma nel documento si parla anche del “rapporto che l’imperatore bizantino aveva col territorio da lui amministrato“. Per quel che concerne Ferrara, il compilatore del documento asserì che il confine a Sud della città era rappresentato dal Po di Ferrara e dal Po di Primaro, rimarcando così il concetto che l’imperatore bizantino avrebbe da sempre avuto di supervisione sulle acque, ed i cittadini ivi residenti, che avessero desiderato non essere amministrati da Bologna, avrebbero dovuto oltrepassare il fiume.

Inoltre, nel documento si faceva cenno a due clausole decisamente vessatorie per i ferraresi: non poter costruire ponti stabili, in pietra, tali da congiungere il vecchio con il nuovo abitato e non poter imporre il controllo sui traffici fluviali, attraverso dazi e tariffe doganali. Questo documento lasciò così intendere a molti cronisti che esistesse un agglomerato cittadino nell’attuale zona di San Giorgio, i cui abitanti autoctoni sarebbero stati costretti ad emigrare oltre il fiume, stante il presunto documento imperiale, rivelatosi poi un clamoroso falso storico. Infatti, già nel 1228, la città di Ferrara introdusse nuove tariffe doganali, come ben cita il Muratori, non proprio gradite dai bolognesi che si trovavano a svolgere attività commerciali dalle nostre parti.

COME VENNE SCIOPERTO IL FALSO TEODOSIANO

Il “Falso Teodosiano” andava sostenendo che i confini bolognesi giungessero fino al grande fiume, ed aggiungeva che località detta “Ferrariola” si trovava a sud di esso, ovvero al di là del Po, come ben si evince dal passo seguente: “Signore mio, una altra gracia ve domando, che la citade mia abia del contado… Alora l’imperadore sì i acresé lo contado de torno, molto grande e copiosamente, co fò verso Ferrara fino a mezo Po, che in quel tempo se chiamava Ferariola e era posta la citade de ca da Po… Alora quilli de Ferariola sì féno habitatione de làe da Poe e sì lì porno li soi hedifitii e legname de caxi soi e lì féno la citade de Ferara” (M. Corti, Vita di San Petronio, in “Note di Storia urbanistica ferrarese nell’alto medioevo“, di Francesca Bocchi, Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria, Atti e Memorie, Serie Terza).

fossa-ferrariola-ducato-di-ferraraOvviamente, come ben notò la dottoressa Bocchi, vi è qui un’anomalia linguistica che non avrebbe potuto essere sfuggita ad una persona intelligente qual era Riccobaldo: “Com’è possibile che un nome di città possa derivare dal suo diminutivo?“. Infatti, egli andò alla ricerca di un altro nome dal quale avrebbe potuto derivare la città di Ferrara (Ferraria), ma si rivolse ad un qualcosa di completamente diverso da un insediamento urbano, in quanto concentrò le proprie attenzioni sul nome di quella Fossa Ferrariola che, a quei tempi, scorreva nei pressi di Gaibana.

E se è pur vero che Riccobaldo non ebbe a notare la finezza dell’impossibile derivazione, fece in seguito due importanti osservazioni: dapprima sottolineò come fosse difficile, all’epoca di Teodosio I, rinvenire luoghi abitati fra territori invasi da acque paludose e stagnanti, creatisi in conseguenze delle continue esondazioni del Po e del Reno, poi chiarì che non si poteva escludere a priori, comunque, la possibilità che qualcosa potesse emergere da quel mare di acque: “… supradictis temporibusin regionibus, quibus nunc est Ferrariensi Diocesis, non erat Oppida, quia ut plurimum ea loca paludibus premebantur, flumine Pado stagnate in locis. In locis editioribus erant Vici, & Villae, quibus non fuit episcopus tunc ordinatus …”, come successivamente riportato dal Muratori.

GIOVANNI BOCCACCIO

Anche Giovanni Boccaccio si addentrò nella spinosa vicenda del nome della nostra città e lo fece in un passo del De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus, de nominibus maris: “… bipartitur, et duo de se facit grandia flumina, quorum quod a dextris labitur, invento a sinistra insigni oppido, quod olim Phorum Alieni vocaverunt veteres, hodierni vero vocaverunt Ferrariam, iterum in duos dividitur fluvios …”. In pratica, egli sostenne che sulla sponda sinistra del Po sorgesse una città che i suoi contemporanei già chiamavano Ferrara, ma che gli antichi chiamavano “Phorum Alieni” (Forum Alieni).

Ovviamente, nessuno sa a quali fonti si sia ispirato Boccaccio per trarre tali notizie, ma si pensa che possa essersi riferito ad un famoso passo delle “Historie” di Tacito (Libro III, Capitolo VI), laddove il cronista, quasi coevo delle vicende narrate, essendo nato verso il 55 d. C., raccontò della rivolta del 69 d. C. contro l’imperatore Vitellio, condotta da Antonio Primo e Arrio Varo (Varrone), fedeli alleati di Vespasiano i quiali, occupata Aquileia, vennero festosamente accolti nelle vicine località di Oderzo e di Altino. In quest’ultima località lasciarono un presidio per fronteggiare eventuali attacchi della flotta di Ravenna, non sapendo ancora della sua defezione, e guadagnarono poi alla loro causa le città di Padova ed Este. E proprio ad Este seppero che tre coorti vitelliane e l’ala chiamata Sebosiana (unità di cavalleria) s’erano attestate a Phorum Alieni, dopo aver gettato un ponte di barche. Decisero, sulla base di informazioni attestanti la scarsa vigilanza di quei reparti, di cogliere l’occasione per un attacco di sorpresa. Li colsero quasi tutti, senz’armi, alle prime luci dell’alba. L’ordine impartito in precedenza era di ucciderne pochi e di costringere gli altri con la paura a mutare bandiera. Non mancò chi s’arrendesse subito, ma i più, tagliato il ponte, impedirono il passaggio al nemico incalzante.

Quello che segue è il Capitolo VI, nella sua forma integrale: “Antonio vexillarios e cohortibus et partem equitum ad invadendum Italiam rapienti comes fuit Arrius Varus, strenuus bello, quam gloriam et dux Corbulo et prosperae in Armenia res addiderant. Idem secretis apud Neronem sermonibus ferebatur Corbulonis virtutes criminatus; unde infami gratia primum pilum adepto laeta ad praesens male parta mox in perniciem vertere. Sed Primus ac Varus occupata Aquileia <per> proxima quaeque et Opitergii et Altini laetis animis accipiuntur. Relictum Altini praesidium adversus classis Ravennatis <conatus>, nondum defectione eius audita. Inde Patavium et Ateste partibus adiunxere. Illic cognitum tris Vitellianas cohortis et alam, cui Sebosianae nomen, ad Forum Alieni, ponte iuncto, consedisse; placuit occasio invadendi incuriosos, nam id quoquenuntiabatur. Luce prima inermos plerosque oppressere. Praedictum ut paucis interfectis ceteros pavore ad mutandam fidem cogerent. Et fuere qui se statim dederent: plures abrupto ponte instanti hosti viam abstulerunt. Principia belli secundum Flavianos data”.

Leggendo questo brano di Tacito appare evidente come il Foro d’Alieno si potesse trovare a Sud di un “qualunque importante corso d’acqua” della Pianura Padana orientale, quasi certamente nelle zone fra Padova ed Este, comunque! Ciò è possibile sostenerlo perché è proprio qui che tre coorti dell’imperatore Vitellio, nel tentativo di frenare le truppe vespasiane provenienti dall’Est, dalla Dalmazia e dall’antica Illiria (oggi, ex Yugoslavia), aiutate dall’ala Sebosiana, dopo aver costruito un ponte di barche, superarono un fiume e si attestarono sull’opposta riva, ovvero alla sinistra di quel fiume rispetto alla sua direzione verso il Mar Adriatico.

Ecco dunque spiegata ampiamente la ragione secondo la quale il suddetto Pellegrino Prisciano, avesse ritenuto possibile un’ubicazione del Forum Alieni a Sud di San Giorgio ed una derivazione da esso del nome “Ferrara“.

Egli, infatti, scriveva nel suo primo libro delle Historiae Ferrariae: “… Ab Foro Alieni igitur hoc nomine Ferrariolam volunt primis annis illis etiam fuisse dictam nec magis corrupte quam Fossumbronem pro Foro Sempronii et Forlimpopulum pro Foro Pompilii, quod satis etiam constat …”. Ora, poiché le argomentazioni del Prisciano si rifacevano ad una tavola topografica dell’Italia antica, l’argomento diventa di capitale importanza e lo affronterò successivamente, con apposito articolo sul Foro d’Alieno.

SAN PETRONIO

san-petronioA dar man forte al “Falso Teodosiano”, si aggiunse anche il libro “La vita di san Petronio“, in cui si sosteneva che il vescovo bolognese, prima del suo ritorno da Costantinopoli, avesse chiesto a Teodosio II la ricostruzione di Bologna, dell’università e del contado: “… Signore mio, un’altra gracia ve domando, che la citade mia abia del contado … Alora l’imperatore sì i acresé lo contado de torno molto grande e copiosamente, co fò verso Ferariola sì féno habitatione de làe da Poe e sì lì porno li soi hedifitii e legname de caxi soi e lì féno la citade de Ferara” (M. Corti, Vita di San Petronio, in “Note di Storia urbanistica ferrarese nell’alto medioevo“, di Francesca Bocchi, Deputazione Provinciale Ferrarese di Storia Patria, Atti e Memorie, Serie Terza, Volume XVIII, 1974). Ovviamente, qui si torna a ricadere sul precedente punto, in quanto non è possibile che un nome di città derivi dal suo diminutivo.

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