Stemma: l’arte del blasone

arte-del-blasone-ducato-estenseAttorno all’anno Mille accaddero in Italia diversi fatti che, uniti fra di loro, concorsero in maniera determinante al formarsi, in maniera codificata e considerata, dell’arte del blasone: una disciplina esistita praticamente da sempre e rappresentata principalmente sui campi di battaglia attraverso il simbolismo delle bandiere. Fu quello un periodo di grandi sconvolgimenti, nel quale i Comuni iniziarono a prendere coscienza della loro municipalità, le famiglie importanti desideravano far conoscere la loro devozione militare e spirituale ed i regnanti d’Europa ed i ministri di Pietro premevano per liberare i luoghi sacri e metterli a disposizione della Cristianità.

ARALDICA

Ovviamente, tutti gli storici sono d’accordo nel far risalire l’origine dello stemma all’arte stessa della guerra: basti pensare alle insegne delle aquile legionarie dell’esercito romano, con cui si distinguevano i vari reparti, per meglio comprendere il significato e la valenza di tale affermazione. L’insieme di questi avvenimenti sociali, civili, politici, militari e spirituali concorsero in eguale misura a sviluppare l’arte dell’araldica, cioè la scienza del blasone o scienza dello stemma, il quale è detto anche arme o arma: un’insegna costituita da uno stemma corredato da ornamenti come, ad esempio: il mantello, l’elmo, la corona o supporti di vario tipo.

L’ARALDO

Ma era nella figura dell’araldo che siespletava concretamente la funzione araldica, in quanto si trattava di una persona che, fisicamente e visivamente, svolgeva la funzione di riconoscimento dei simboli presenti sulle bandiere, sui gonfaloni o sugli scudi altrui. L’araldo era il vero e proprio esperto dell’arte del blasone, detta anche blasonatura, consistente nel descrivere verbalmente lo scudo e lo stemma, attraverso l’uso di uno specifico vocabolario che, utilizzando una ben precisa sintassi, era in grado di fare una descrizione immediata, riferita anche a particolari difficilmente comprensibili e di non immediata lettura di aspetti tecnici come: casato, famiglia,alleanze, eredità, onorificenze e concessioni.

Un esempio tipico potrebbe essere quello di saper distinguere il cavaliere che, racchiuso nell’armatura, si stava apprestando ad affrontare l’avversario in duello, magari durante un torneo o mentre era alla guida di armati in attesa dello scontro; in quei frangenti l’araldo, osservando i disegni sullo scudo, lo stendardo mostrato o la gualdrappa del cavallo, era in grado di individuarne abbastanza chiaramente la famiglia del cavaliere e, in molti casi, anche la stessa persona.

LO SCUDO

Ed è proprio sullo scudo che andò concentrandosi maggiormente l’attenzione della blasonatura al momento del consolidamento dell’araldica, in quanto in esso si riconobbe universalmente il supporto, ideale e materiale, su cui poter rappresentare simboli e stemmi. Esso poteva essere monocromatico o con partizioni, ovvero aree diverse e ben distinte fra loro. Col tempo, giunsero anche i “colori araldici” da apporre sulla sua superficie, suddivisi in “smalti“: rosso, azzurro, nero, verde e porpora, e “metalli“: oro, argento, giallo e bianco. Infine, sullo scudo giunsero anche le “pellicce“, cioè le decorazioni a scrisce con cui i soldati amavano ornare lo scudo o la bandiera, fra le quali si imposero immediatamente l’ermellino e il vaio (pelliccia dello scoiattolo di tipo siberiano, di coloro grigio tendente al nero).

I principali tipi di scudo erano a tre lati :antichi, ovali o all’italiana e tedeschi con l’incavo per il sostegno della lancia. Accanto ad essi prolificò però una serie pressoché infinita di altri scudi, dalle forme più strane ma, ovviamente, del tutto irrilevanti ai fini della blasonatura: non erano né la forma dello scudo né la modalità di rappresentazione della figura araldica ad avere significato, ma l’essenza stessa della rappresentazione che godeva di estrema libertà della forma e dava, allo steso tempo, grande importanza alle proporzioni.

Lo scudo era composto da tanti “punti“, ovvero parti ben precise sulle quali apporre le figure e le pezze; inoltre, poteva essere diviso in vari modi: vie erano le partizioni, che rappresentavano il modo di dividere lo scudo in parti uguali (partito, troncato, trinciato e tagliato) e le strisce, ovvero delle semplici linee che tagliavano lo scudo (“fascia“, se alta un terzo, “divisa” se diminuita di un terzo e “burella” se molto sottile).

SIMBOLISMO

Sull’arme si concentravano, dunque, le figure, ovvero immagini reali o inventate di persone, di animali o di oggetti e le pezze, cioè disegni geometrici elementari. Avveniva però assai di frequente che ogni partizione venisse ulteriormente ripartita, utilizzando simbolismo di ogni tipo. Tra le varie figure utilizzate, un posto di riguardo spettò alle cosiddette “pezze onorevoli“, conosciute anche come “linee di ripartizione“, principalmente costituite da: palo, fascia, banda, sbarra, croce e pergola.

A tale simbolismo spettava l’aulico compito di distinguere le famiglie evidenziandone il livello nobiliare o distinguendone il campo politico o individuandone la fazione o sottolinenadone i meriti militari o anche solo l’appartenenza a determinate fazioni. Per assolvere al meglio a tutto ciò, il simbolismo della messa in mostra dell’arme, ovvero delle proprie armi gentilizie o civiche o corporative, era di vario tipo, e veniva esibito principalmente attraverso l’abbigliamento, le bandiere, i vessili, i gonfaloni e gli stemmi durante le varie manifestazioni alle quali le famiglie erano chiamate: matrimoni, ricorrenze, feste pubbliche, rievocazioni, feste private, incontri diplomatici, tornei, parate e, purtroppo, anche battaglie e guerre.

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